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Author Archive Fabrizio

ByFabrizio

Tumori, oltre 70% donne fa screening per mammella e cervice

In Italia il 73% delle donne fra i 50 e i 69 anni di età e il 78% di quelle fra i 25 e i 64 anni si sottopone rispettivamente allo screening mammografico e allo screening cervicale (Pap test o HPV test) a scopo preventivo, all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale, mentre la copertura nazionale dello screening colorettale in Italia resta ancora piuttosto bassa: nel biennio 2022-2023 il 46% degli intervistati tra 50 e 69 anni riferisce di aver eseguito uno degli esami per la diagnosi precoce dei tumori colorettali a scopo preventivo. E’ quanto emerge dai dati della sorveglianza Passi del centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnapps) dell’Iss. “Un nostro rapporto recente, basato proprio sulle rilevazioni della sorveglianza Passi, ha dimostrato che in Regioni in cui lo screening raggiunge una buona parte della popolazione target il sistema è anche in grado si prendersi carico dei casi di tumore – sottolinea il presidente dell’Iss Rocco Bellantone -. Sono sicuro che questi dati potranno essere molto utili per elaborare strategie che riescano a mitigare le disparità regionali nell’accesso all’assistenza sanitaria, di gran lunga il problema principale della sanità nel nostro paese”.

La quota di donne che aderisce allo screening cervicale è maggiore fra le più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le cittadine italiane rispetto alle straniere e fra le coniugate o conviventi. La copertura disegna un netto gradiente geografico Nord-Sud che divide l’Italia in due, con coperture mediamente pari all’83% al Nord e Centro Italia (89% nella P.A. di Bolzano) e 69% nelle Regioni del Sud (con coperture minime per la Calabria, 58%). Anche la quota di donne che si sottopone allo screening mammografico è maggiore fra quelle più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le donne di cittadinanza italiana rispetto alle straniere e fra le donne coniugate o conviventi. La copertura dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud con una copertura totale dell’83% al Nord, 78% al Centro e solo del 61% nelle Regioni meridionali. Il Friuli Venezia Giulia (89%) è la Regione con la copertura maggiore, la Calabria (45%) quella con le coperture totali più basse. Negli anni il gap geografico si è ridotto e la quota di donne che si sottopone a mammografia a scopo preventivo è aumentata, grazie soprattutto all’aumento dell’offerta/adesione ai programmi organizzati avvenuta ovunque nel Paese. Per quanto riguarda lo screening colorettale vi è una forte variabilità da Nord a Sud a sfavore delle Regioni meridionali dove la quota di persone che si sottopone allo screening non raggiunge il 28%, nel biennio 2022-2023, valore che quasi raddoppia nelle Regioni centrali fino a raggiungere il 67% fra i residenti nel Nord Italia. La gran parte delle persone che ha effettuato lo screening colorettale lo ha fatto nell’ambito di programmi organizzati dalle Asl (38%), mentre quello eseguito su base spontanea (ossia al di fuori dell’offerta delle Asl) è poco frequente (quasi 8%).

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Nuova ‘stretta’ Usa nella battaglia contro il fumo e i suoi danni alla salute. La Food and Drug Administration (FDA) ha elevato a 30 anni l’eta’ sino alla quale e’ necessario mostrare i documenti per l’acquisto di qualsiasi prodotto contenente tabacco, in primis le sigarette. Sino a pochi giorni c’era l’obbligo di presentare ai tabaccai la patente o altre forme di identificazione sino a 27 anni.

L’agenzia del governo americano ha deciso di rendere ancora più difficile anche l’acquisto di sigarette tramite le macchinette automatiche: non potranno infatti d’ora in avanti venire collocate in luoghi in cui anche giovani sotto i 21 anni abbiano accesso. In pratica cio’ significa che in molti casi dovranno venire spostate all’ interno.

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OMS: “I telefoni cellulari non sono collegati al cancro al cervello”

I telefoni cellulari non sono collegati ai tumori al cervello e alla testa, anche se utilizzati a lungo o nel corso di molti anni. Lo ribadisce una revisione completa dei dati disponibili, commissionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicata sulla rivista Environment International. I cellulari, come tutto ciò che utilizza la tecnologia wireless, inclusi laptop e tv, emettono radiazioni elettromagnetiche a radiofrequenza, o onde radio. Sulla base di alcuni primi studi che mostravano che poteva esserci una possibile associazione con il cancro al cervello derivante dall’uso di questi telefoni per molte ore, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms ha designato i campi a radiofrequenza dei cellulari come un ‘possibile’ rischio di cancro, categoria in cui rientrano centinaia di altri agenti e ben diversa da sostanze ‘certamente’ cancerogene come il fumo. Da allora sono stati pubblicati molti altri studi di coorte più approfonditi che hanno avuto risultati diversi. In ultimo la nuova revisione sistematica guidata dall’Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency (Arpansa), che ha esaminato oltre 5.000 studi, tra cui sono stati identificati i più rigorosi dal punto di vista scientifico. L’analisi finale ha incluso 63 studi osservazionali sugli esseri umani pubblicati tra il 1994 e il 2022, rendendola la revisione più completa finora condotta. “Abbiamo concluso che le prove non mostrano un collegamento tra telefoni cellulari e cancro al cervello o altri tumori alla testa e al collo”, ha affermato l’autore principale, il professore associato Ken Karipidis, vicepresidente della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti.

La revisione non ha trovato infatti alcuna associazione tra l’uso del cellulare e il cancro, nessuna associazione con l’uso prolungato (utilizzo per 10 anni o più) né con la quantità di utilizzo (il tempo trascorso al telefono). Lo dimostra il fatto che “anche se l’uso del cellulare è salito alle stelle, i tassi di tumore al cervello sono rimasti stabili”, ha affermato Karipidis.

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Con fine estate italiani alle prese con chili di troppo, ‘in forma senza stress si può’

Con la fine di agosto è il momento di fare i conti con i chili di troppo che inevitabilmente arrivano nei periodi del relax estivo. “Aperitivi, cene, gelati e dolcetti di fine pasto, sono inevitabili occasioni mangerecce non previste, hanno probabilmente minato la nostra forma fisica e ora bisogna tornare a regime. Ma come? Basta il canonico assunto ‘poche calorie, zero carboidrati e tante proteine’? O c’è bisogno di qualcos’altro? Nella logica ordinaria del fai da te la definizione dieta dimagrante significa ‘mangiare meno per perdere peso’. E così, spesso si ricorre a diete inadeguate che escludono per intero gruppi di alimenti, risultando sbilanciate nella loro composizione creando, in tal modo, eccessi o carenze di alcuni nutrienti rispetto ad altri”. E’ quanto sostiene l’immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione all’Università Lum.

Di fatto, una dieta dimagrante particolarmente restrittiva, tanto più se adottata drasticamente dopo un periodo d’abbondanza, induce l’organismo a trattenere il più possibile le riserve di grasso, come se fossimo nel mezzo di un’improvvisa ‘carestia’; si riducono i consumi, per paura di rimanere senza scorte; ci si sente sempre più affaticati e assonnati; aumenta il catabolismo proteico, cioè l’impoverimento della massa muscolare, piuttosto che della massa grassa. Praticamente si creano scompensi con conseguente danno alla salute – avverte – E di questo si ha contezza già nelle fasi della restrizione che la dieta in quanto tale impone, facendo montare nel soggetto interessato una prima inconfessata delusione, che diventa ancora più cocente quando, alla ripresa del regime alimentare normocalorico, si constaterà una rapida ripresa dei chili precedentemente perduti. Un vero e proprio circolo vizioso, a cui contribuiscono oltre a quelli nutrizionali, anche fattori ormonali e/o emotivi e/o legati a particolari stili di vita”.

“Allora, volendo procedere con un minimo di paziente raziocinio al ripristino del regime ordinario dopo il consueto sbandamento estivo, non dovremmo mai scordare che la dieta da seguire deve apportare ogni giorno la giusta quantità di carboidrati che danno l’energia necessaria alle attività, proteine che servono a costruire e rigenerare le cellule, grassi indispensabili per molte funzioni metaboliche. E poi – suggerisce Minelli – deve essere elaborata in base al fabbisogno calorico del soggetto, in relazione all’età, al sesso, allo stile di vita. Un esempio di come impostare un profilo alimentare corretto nel tempo della ripresa potrebbe prevedere”.

Ecco i consigli di Minelli. “A colazione: una bevanda calda che potrebbe essere tè verde oppure un latte vegetale senza zuccheri aggiunti; a metà mattina: un frutto, oppure una bevanda integrativa di potassio e magnesio, utile soprattutto in caso di alterazioni dell’alvo per una stipsi sopraggiunta a seguito dei disordini alimentari estivi. a pranzo: due fette di pane bianco morbido, semmai di segale che contiene pochi carboidrati rispetto al grano, accompagnate da verdure crude a foglia verde preferibilmente fibrose, come sedano, finocchio, ravanelli peperoni, cipolle, oppure insalate miste fatte di carote crude, indivia belga e radicchio rosso. In alternativa si può prevedere una portata di cereali come farro, avena, orzo, o anche una zuppa di legumi con preferenza per le lenticchie, ma anche ceci e fagioli. Ulteriore alternativa può essere un’omelette al formaggio sempre accompagnata da verdure che potranno essere condite con un cucchiaio di olio extravergine di oliva e dell’aceto di mele – prosegue – Nel pomeriggio: un pugno di semi oleosi (mandorle, pinoli, noci, semi di zucca, di lino, ecc.), oppure una barretta proteica senza zuccheri aggiunti e addizionata di fibre, oppure un frutto o una porzione di cracker fatti con farine senza glutine e qualche oliva”.

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Studio: svelato come il tumore sostiene i suoi processi vitali

Svelato come il tumore sostiene i suoi processi vitali. A giocare un ruolo centrale è una proteina, p62, attore cruciale di un meccanismo molecolare in grado di sostenere i processi vitali della cellula tumorale, incluse le metastasi. Ad identificare la nuova proteina un gruppo internazionale di ricercatori – coordinato da Stefano Santaguida, group leader presso il Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia e docente di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano – e lo studio ha conquistato la copertina di Science. La ricerca è sostenuta da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e Fondazione Cariplo.

Tutto parte dall’instabilità cromosomica, uno dei tratti che caratterizzano la maggior parte delle cellule tumorali e che consiste nell’alta frequenza di errori nella segregazione dei cromosomi nelle cellule figlie durante la divisione cellulare. Questa instabilità crea una situazione di caos cellulare che contribuisce ai programmi ‘anarchici’ delle cellule tumorali, tra cui replicarsi all’infinito e sopravvivere agli attacchi esterni. Un’altra conseguenza dell’instabilità cromosomica è la formazione di micronuclei, strutture anomale che si collocano al di fuori del nucleo primario della cellula e che sono in grado di indurre i cromosomi sregolati a catalizzare il caos cellulare. L’involucro di queste microstrutture è tuttavia molto fragile e spesso difettoso, per cui il Dna che contengono non è sufficientemente protetto; anzi, è di frequente esposto al citoplasma e subisce danni persistenti, che creano un ambiente favorevole allo sviluppo del tumore. P62 è una proteina multitasking con molteplici funzioni ma non era finora mai stata collegata all’instabilità cromosomica. In particolare, “attraverso complessi meccanismi cellulari identificati, abbiamo dimostrato che p62 inibisce l’azione dei ‘riparatori’ dell’involucro nucleare del micronucleo. Quest’ultimo, rimasto senza difese, collassa, lasciando i cromosomi contenuti in balia del caos. Così l’instabilità cromosomica aumenta e le cellule tumorali ne ricevono più di un vantaggio, diventando più forti, crescendo, difendendosi dai farmaci e migrando all’interno dell’organismo”, spiega Santaguida. La scoperta ha un “chiaro riscontro nella pratica clinica perché, dalle nostre analisi, risulta che tumori caratterizzati da instabilità cromosomica e con alti livelli di p62 hanno una prognosi peggiore. La proteina p62 potrebbe quindi da oggi essere considerata un marcatore prognostico e un importante bersaglio terapeutico”, conclude il ricercatore.

Lo studio è stato condotto in collaborazione con eccellenti centri internazionali, tra cui, negli Stati Uniti, il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York City, la Harvard Medical School di Boston, la University of Texas Southwestern di Dallas, il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle; in Israele l’Università di Tel Aviv e in Italia l’Università di Palermo, l’Ospedale San Raffaele di Milano e l’Ifom di Milano.

ByFabrizio

Tumore del seno, meno casi gravi con la mammografia annuale a over 40

Un nuovo studio Usa ha analizzato l’ incidenza delle diagnosi di tumori del seno a stadio avanzato in relazione alla frequenza delle mammografie nelle donne over 40: il rapporto – pubblicato su Journal of clinical oncology – ha osservato un tasso decisamente inferiore di casi di cancro già diffuso al momento della diagnosi con gli screening annuali. Margarita Zuley, autrice della ricerca condotta all’ università di Pittsburgh, insieme il suo team, ha studiato 8.145 donne a cui era stato riscontrato un tumore della mammella tra il 2004 ed il 2019, analizzando il numero di screening precedenti.

Tra le pazienti che si erano sottoposte a mammografie intermittenti (ossia a distanza di piu’ di 2 anni e senza una regola precisa) le diagnosi di tumore a stadio avanzato sono state il 19% del totale. Tra le donne sottoposte a screening annuale le diagnosi di questo tipo sono state il 9% , tra quelle sotto screening biennale i tumori avanzati sono risultati il 14%. “Non c’e’ dubbio che vengono identificati piu’ tumori avanzati se piu’ alto è l’ intervallo tra le mammografie”, ha osservato Zuley, sostenendo la necessità della mammografia annuale tra le over 40 anche se non sono in menopausa.

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Chemioterapia: ecco quando gli effetti collaterali durano di più

Gran parte degli effetti collaterali, legati ai principali farmaci chemioterapici, scompare velocemente. Tuttavia alcuni possono richiedere un po’ più di tempo, a volte alcuni mesi o anni. Per esempio la caduta dei capelli, dei peli, di ciglia e sopracciglia è una delle controindicazioni più temuta. Va ricordato che non tutti i farmaci provocano questo effetto indesiderato, né tutti lo fanno con la stessa intensità.

Quando la chemioterapia colpisce alcuni organi, come quelli riproduttori, oppure i reni, il cuore o il fegato, i danni arrecati possono essere permanenti. Ciononostante, se il medico sceglie la strada della chemioterapia, significa che nel caso di quel paziente i benefici attesi con la chemioterapia sono potenzialmente superiori rispetto ai possibili effetti collaterali. Inoltre è bene sapere che il più delle volte questi effetti si possono facilmente prevenire. Per esempio esistono alcune combinazioni di chemioterapici e di farmaci biologici (orientati a colpire un bersaglio preciso) che possono alterare la funzionalità cardiaca. In questi casi, prima di iniziare la terapia, si viene sottoposti a un elettrocardiogramma per accertarsi che il cuore continuerà a funzionare normalmente durante la cura. Allo stesso modo, se il chemioterapico agisce sul fegato, la funzionalità epatica verrà periodicamente monitorata e, in caso di alterazione, il medico cambierà il tipo di trattamento o ridurrà la dose, in modo da evitare danni a lungo termine.

Infine alcuni chemioterapici, come gli alcaloidi della vinca, i taxani o i composti del platino, possono danneggiare i nervi. Anche in questo caso, il controllo attento da parte del medico consente di ridurre o cambiare il chemioterapico prima che i danni diventino permanenti. Inoltre la combinazione di antidolorifici o anticonvulsivanti con supplementi vitaminici si è dimostrata efficace nel ridurre questo tipo di effetto tossico.

ByFabrizio

Studio: long Covid continua a eludere la diagnosi

“Non esistono test oggettivi per diagnosticare con precisione la sindrome da Pasc (Sequele post-acute da Sars-Cov-2), una forma di Long Covid a livello cardiovascolare”. Lo ha stabilito uno studio di coorte dell’America College of Physicians pubblicato su ‘Annals of Internal Medicine’. “I dati suggeriscono anche che molti dei sintomi a lungo termine della Pasc siano dovuti all’infiammazione in corso, piuttosto che all’invasione virale dell’area interessata”, precisano i ricercatori. I ricercatori del National Institutes of Health hanno studiato più di 10mila pazienti adulti arruolati nello studio ‘Recover’ (Researching Covid to Enhance Recovery) per indagare i marcatori clinici di laboratorio del Sars-CoV-2 e Pasc. Ebbene, i ricercatori hanno scoperto “che nessuno dei 25 valori clinici di laboratorio valutati nello studio poteva servire come biomarcatore clinicamente utile della Pasc”.

Un editoriale di accompagnamento alla ricerca firmato da ricercatori della Johns Hopkins University spiega “che alcune delle maggiori sfide irrisolte della pandemia di Covid riguardano la comprensione, la diagnosi e il trattamento del Long Covid”.

ByFabrizio

AIOM: stili vita cruciali nell’aumento dei tumori nei giovani

“Gli stili di vita sono cruciali per spiegare il registrato aumento dei tumori nelle fasce di popolazione di età più giovane, aumento evidenziato dallo studio pubblicato da Lancet”. Lo sottolinea massimo Di Maio, presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). “Sull’aumento dei tumori nelle fasce più giovani – afferma Dio Maio – non sono ancora disponibili in Italia dei dati definitivi pubblicati, ma è un fronte sul quale stiamo lavorando insieme ai Registri Tumori. Possiamo però dire che nella pratica clinica molti oncologi stanno registrando casi di tumore tra i più giovani abbastanza frequentemente ed anche per neoplasie finora caratterizzate da una insorgenza in età più tarda”. Quanto alle cause di tale aumento dell’incidenza nei giovani, “non sono note con certezza – rileva Di Maio – tuttavia molti esperti concordano nell’ipotizzare che ciò non sia tanto dovuto ad un cambiamento delle condizioni genetiche quanto ad una diversa esposizione a fattori di rischio ambientali e comportamentali. Il tumore si manifesta infatti quando si accumulano una serie di ‘insulti’ e alterazioni sulle cellule; se gli stimoli esterni indirizzati alle cellule, che provocano insulti ed alterazioni, diventano più frequenti e ripetuti è infatti plausibile che ciò possa portare ad una insorgenza più precoce delle neoplasie”.

In particolare, lo studio fa riferimento ai tumori gastrici: “In realtà, questi sono in diminuzione negli ultimi anni. Il fatto che, in controtendenza, risultino con una frequenza aumentata tra i giovani, si potrebbe spiegare con l’ipotesi che a pesare siano sempre di più gli stili di vita ed una alimentazione troppo spesso scorretta”. “Da un parte dunque – precisa l’oncologo – non dobbiamo sottovalutare tali dati, ma dall’altra non bisogna lanciare un messaggio di panico perchè non siamo comunque di fronte ad una ‘epidemia’ di tumori giovanili. Il messaggio centrale da lanciare resta piuttosto quello relativo all’implementazione di stili di vita coretti e salutari, dal momento che questa quota di tumori in crescita tra i più giovani in larga parte potrebbe essere prevenibile proprio agendo sugli stili di vita, mentre non è dimostrato che sia legata ad una predisposizione genetica, almeno in una percentuale molto alta di casi”. Quindi, conclude Di Maio, “urgono più forti politiche di prevenzione, ma anche una maggiore presa di consapevolezza da parte dei singoli”.

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Oncologi: il certificato sull’oblio servirà a minoranza di pazienti

31 luglio 2024 – La certificazione che attesta l’avvenuto oblio oncologico, prevista dal decreto attuativo pubblicato in Gazzetta ufficiale che indica le modalità per il rilascio, “serve esclusivamente ad una precisa minoranza di ex pazienti oncologici, ovvero a coloro che hanno già dei contratti o delle assicurazioni in essere e che hanno la necessità di modificarne le clausole in qualche modo peggiorative”. A sottolinearlo è il presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), Franco Perrone, rilevando che, dunque, il rilascio di tale certificazione non è da intendersi come obbligatorio o necessario per tutti gli ex pazienti oncologici. L’oblio, afferma Perrone, “è già un diritto ed è sancito dalla legge approvata il 5 dicembre 2023 che tutela gli ex pazienti oncologici dalle discriminazioni legate alla malattia. La legge prevede infatti che queste persone non siano più obbligate, trascorso il lasso di tempo dal termine dei trattamenti indicato per le varie neoplasie e che può variare da 1 a 5 o 10 anni, a fornire informazioni né a subire indagini in merito alla propria pregressa neoplasia”. Dunque, chiarisce, “l’oblio è già previsto e non c’è bisogno che una persona dichiari o certifichi la sua condizione di ‘ex paziente'”.

La certificazione sarà invece necessaria, rileva Perrone, “se un ex paziente ha già in essere un mutuo oppure ad esempio una assicurazione stipulati prima dell’entrata in vigore della legge e caratterizzati da clausole o tassi peggiorativi per il fatto di aver dovuto dichiarare di avere una neoplasia. Queste persone avranno quindi bisogno del certificato per dimostrare di rientrare ora nell’oblio oncologico al fine di poter modificare delle condizioni contrattuali o assicurative peggiorative legate alla passata dichiarazione di malattia. In questo caso, presentando il certificato si chiede l’eliminazioni di tali condizioni peggiorative, ad esempio del calcolo di un premio più alto. Pertanto la necessità del certificato non è estesa a tutti gli ex pazienti oncologici ma solo a questa categoria”. Insomma, conclude il presidente degli oncologi, “se una persona ha avuto un tumore che ricade nei termini dell’oblio oncologico, semplicemente non è tenuta a dichiarare o certificare nulla perchè l’oblio è automatico ed è un diritto. Questo decreto riguarda dunque solo una minoranza di ex pazienti”.